Coprogettazione: cosa cambia?
Se solo due anni fa vi erano poche sperimentazioni da parte di enti particolarmente attenti all’innovazione, oggi le iniziative di coprogrammazione e di coprogettazione sono adottate in un numero crescente di contesti territoriali, sia urbani che in aree con piccoli insediamenti. Possono essere su interventi puntali e di valenza economica limitata o interessare in modo complessivo il welfare locale, ma in ogni caso si stanno sempre di più affiancando alle forme più note di relazione tra Enti pubblici e Terzo settore quali gli appalti.
Si tratta di strumenti notevolmente potenziati dal Codice del Terzo settore (d.lgs. 117/2017, in particolare l’art. 55), che considera la collaborazione come modo “normale” di relazionarsi tra Enti pubblici e Terzo settore nelle attività di interesse generale (il welfare, certo, ma anche la salute, la cultura, l’ambiente, la formazione, i servizi per il lavoro, ecc.). Questa impostazione ha incontrano negli anni scorsi talune resistenze nell’ambito di una cultura amministrativa (ne è stato un esempio il Parere del Consiglio di Stato dell’agosto 2018) che ha faticato a concepire relazioni tra Enti pubblici e Terzo settore diversi da quelli inquadrabili come compravendita di servizi, ma è stata definitivamente e autorevolmente legittimata dalla Sentenza 131 della Corte Costituzionale del giugno scorso e può oggi proseguire la sua diffusione (1 – 2) senza più timori sul fronte della praticabilità amministrativa.
Dissolti questi dubbi, è utile chiedersi in che modo tutto ciò modifichi nella sostanza i rapporti tra Enti pubblici e Terzo settore.
Innanzitutto, cambia l’oggetto della relazione. Non si tratta più di uno scambio tra prestazione e corrispettivo, ma di una costruzione collaborativa di sistemi comunitari di presa in carico di una problematica; una stessa questione può essere inquadrata nel primo o nel secondo modo. Ci sono tanti giovani che stanno a casa, soli ed isolati? Si può scegliere di rispondere con uno specifico servizio, ad esempio aprire un centro giovanile, e cercare l’ente di terzo settore che offre il miglior rapporto prezzo qualità per gestirlo (è la logica prezzo contro prestazioni). Si può scegliere invece di chiamare a raccolta i soggetti attivi del territorio, professionali e volontari, formali e informali, pubblici e di terzo settore – la cooperativa, la scuola, l’associazione sportiva, l’associazione musicale, l’oratorio – affinché ciascuno (a partire dal Comune) metta a disposizione delle risorse, delle competenze, delle capacità e insieme si decida come utilizzale per affrontare al meglio la questione; l’esito di questo percorso è appunto un atto cofirmato da questi soggetti, che assumono impegni reciproci per la finalità che insieme vogliono perseguire (logica collaborativa).
Non è sempre “giusta” la prima o la seconda logica e in parte scegliere l’una o l’altra è questione culturale o politica, quindi opinabile. Certo è che la seconda logica, quella collaborativa, è sicuramente – laddove autentica e dove effettivamente applicabile – sicuramente più coerente con una cultura ampiamente condivisa che vede nell’integrare risorse, nel fare rete, nel costruire sistemi un presupposto fondamentale degli interventi sociali. Certo è che mentre solo due o tre anni fa la logica “prezzo contro prestazioni” era l’unica di fatto legittimata, oggi le due logiche coesistono.
Cosa significa questo per il Terzo settore?
Significa ruoli diversi, competenze diverse, modelli organizzativi diversi.
Ruoli diversi, perché bisogna “sentirsi addosso” il compito e la responsabilità di contribuire a dare forma alle politiche pubbliche, che è diverso dalla mera esecuzione professionale di un servizio immaginato e definito da altri. Competenze diverse, perché non serve solo più l’ufficio gare per eccellere nei contesti prezzo contro prestazione, ma anche la capacità di leggere e codificare bisogni, saldare relazioni, integrare capacità proprie e di altri; tutto cose non sconosciute, ma che sino a ieri per molti enti di Terzo settore erano relegate a spazi marginali. Modelli organizzativi diversi, meno orientati alla leadership, all’affermazione muscolare e più al “costruire con”, alla collaborazione.
Tutto ciò non è facile perché impatta su un mondo, quello del Terzo settore, per trent’anni allevato in contesti centrati sulla vendita di prestazioni in contesti competitivi; e non è facile per i soggetti pubblici, che sicuramente saranno più di una volta tentati di gestire processi collaborativi come oggi gestiscono una gara, con la segreta aspettativa che ciascuno porti il suo contributo, ma che tutti siano d’accordo con quanto l’ente ha già in mente.
Dunque sarà una sfida faticosa per tutti, con una difficoltà in più: il “ciclo dell’impoverimento” cui il Terzo settore è stato sottoposto in questi anni rende difficile a molti immaginare di investire in capacità di lettura del territorio, in lavoro di rete, in uffici studi (anche collettivi o consortili, si intende). La ricerca di efficienza sfrenata, il fatto che ogni spesa extra produzione sia diventata superflua, costituisce un fattore di indebolimento di cui bisogna tenere conto.
D’altra parte, le esperienze di coprogettazione di questi mesi ci dicono che ne vale la pena. Che dove si riesce a superare queste difficoltà iniziali i risultati sociali vanno molto al di là di quanto si ottiene con lo schema “corrispettivi per prestazioni”. I tavoli di lavoro spingono naturalmente all’innovazione, all’immaginare azioni che oggi non ci sono, a considerare le persone nella loro unitarietà di bisogni – lavoro, casa, relazione, cura, ecc. – cui rispondere integrando i diversi soggetti del territorio; a partire dal welfare per arrivare ben preso alla partecipazione civica, all’espressività artistica, alla sensibilizzazione culturale, allo sviluppo locale e così via; al temine dell’articolo sono riportati alcuni riferimenti di approfondimento che raccontano esperienze che esemplificano questi processi. È per questo che le imprese sociali consapevoli hanno lottato per decenni ed è per questo che, nonostante mille fatiche e contraddizioni, vale la pena di vivere questa inedita fase da protagonisti.
Esperienze
Abburrà A. e Guarna S., BEN Essere in Valle: la forza della cooperazione per lo sviluppo del territorio, in Welfare Oggi 6/2019.
Guerra L. e Marinoni R., Lecco: la coprogettazione si fa istituzione, in Welfare Oggi 6/2019.
Moretti A., REI e Terzo settore. L’esperienza della Caritas di Benevento, in Welforum 1/3/2020.
Schellino S. (intervista), Il Piano inclusione della città di Torino. Intervista a Sonia Schellino, in Welfare Oggi 6/2019.
Turri D., Lucca, Come si infrastruttura la collaborazione, in Welforum 15/3/2018. [19]
Uccellini E.V., Domiciliarità e accreditamento: l’esperienza del Comune di Brescia, in Welfare Oggi 6/2019.