Non di solo lavoro – La fotografia URBEX
Dario Genovese è un socio lavoratore di Arcobaleno. Uno degli storici.
Come tanti di loro, Dario coltiva i suoi hobby fuori dal lavoro e in questo articolo vogliamo raccontare la passione di una vita: la fotografia. Tutto inizia quando da bambino chiedeva in prestito la macchinetta fotografica a suo padre durante i periodi di vacanza. Con grande entusiasmo mi racconta i suoi ricordi delle fotografie analogiche e delle polaroid, fino a quando inizia a scattare con le prime compatte. Per poi arrivare dopo tanti anni ad acquistare la prima Reflex.
- Perché la fotografia? “Sono sempre stato attratto dall’idea di “fissare un istante per sempre”.
E come spesso accade le passioni si alimentano dai modelli a cui ci ispiriamo. – “L’ammirazione per i grandi fotografi, da Bresson a Man Ray, con i loro scatti entrati nella storia della fotografia”. Dario racconta come nel tempo si sia appassionato all’URBEX (Urban Exploration) che significa esplorazione urbana di siti abbandonati e dismessi. Fotografare rovine per farle rivivere. In eterno. Ci arriva dallo Street, iniziando a scattare fotografie che ritraevano gli homeless negli orari più disparati. “La paesaggistica no, non mi racconta nulla”.
Inizia così ad avventurarsi in una vecchia struttura ATM, vicino casa, facendo così il suo ingresso nell’Urbex. Iniziano i viaggi in solitaria in sella alla sua bici, in cerca di quella solitudine estrema che lui riporta nella sua fotografia.
Poi succede che nel periodo del lock-down perde di colpo 1300 foto “un disastro… andate via così, per sempre, un solo click e addio”. E passano mesi senza fotografare. Fino a quando ritorna prepotente il desiderio che rinutre quella passione. E allora rimonta in sella, alla scoperta di una villa abbandonata della collina torinese, set del film “La terza madre” che porta la firma di uno dei grandi maestri dell’horror: Dario Argento. Una quarantina di foto circa.
E a questo punto però vogliamo sapere “Come nasce questo libro?”. – “Come risposta alla chiusura del covid”.
Dario ci racconta della prima mostra al Caffè Basaglia, una personale sul manicomio di Vercelli, il luogo dell’emarginazione per antonomasia: sette padiglioni, una chiesa, un teatro e un archivio sotterraneo. Come sempre ci va da solo. Cinque volte.
Con le nuove foto cerca un nuovo spazio per esporle. Trova la location. Binaria, libreria del Gruppo Abele. Poi di nuovo il lock-down. Salta la prima data. Salta la seconda. Stop agli eventi. Alle mostre. Ad ogni assembramento.
È così che la mostra si trasforma in libro. E siccome i social, in questa fase storica ancor di più, sono i pochi luoghi d’incontro in cui poter fare assembramento, succede che su un gruppo amatoriale su Facebook Dario conosce Anna, con la quale condivide la stessa passione per l’Urbex. Entrambi amano mettere in relazione il proprio corpo con l’ambiente circostante, esplorare il dentro e il fuori.
E questo libro, porta due firme: quella di Dario e quella di Anna.