Un Manifesto per il rilancio dell’inserimento lavorativo
Le sfide del lavoro
Il tema del lavoro pone oggi delle sfide impegnative. Due milioni di giovani neet che necessitano, oltre che di un reddito, di un canale di avvicinamento al mondo del lavoro; e decine di migliaia con posizioni lavorative precarie, che oggi guardano all’emigrazione come unica prospettiva possibile. Oltre 4.5 milioni di persone in situazione di povertà, per molte delle quali, accanto ad un reddito per fronteggiare le necessità immediate, è necessario prevedere un percorso di reintegrazione. Situazioni di fragilità – connesse alla disabilità, alle dipendenze, al carcere, ai problemi di salute mentale o più in generale agli effetti di disgregazione del contesto sociale – in cui l’obiettivo del lavoro non può che accompagnarsi ad un più ampio intervento sulla persona nel suo complesso.
Chi oggi è in grado di raccogliere queste ed altre sfide proponendo soluzioni convincenti?
La cooperazione sociale di inserimento lavorativo può certamente essere, insieme ad altri, tra i soggetti che hanno pieno titolo ad essere tra i protagonisti di queste sfide, forte di una capacità comprovata nei decenni di mettere insieme impresa e integrazione, sostenibilità e attenzione alla persona.
Ma questo richiede in primo luogo di considerare questi problemi al centro della propria riflessione, anche quando ciò implica l’adozione di strategie e strumenti diversi da quelli noti e consolidati. Di qui il punto di partenza della nostra proposta.
Come sta la cooperazione sociale di inserimento lavorativo?
Molto bene, considerando i numeri complessivi con i quali ha attraversato la crisi economica. 73 mila lavoratori in crescita del 25% tra il 2008 e il 2017 di cui 25 mila lavoratori svantaggiati, solo il 4% di parasubordinati che decrescono rispetto al totale dei lavoratori, risultati economici eccellenti. Sono numeri che ben descrivono il contributo che la cooperazione sociale di inserimento lavorativo sta dando all’inclusione delle fasce più deboli del mercato del lavoro.
Dietro a questi risultati eclatanti, vi sono fenomeni diversi. In alcuni casi si tratta di imprese eccellenti, che uniscono dinamismo imprenditoriale, innovazione, cura dei percorsi di inserimento e protagonismo nei territori in cui operano; in altri di imprese che – anche se che continuano a crescere da un punto di vista economico – incontrano fatiche crescenti, sia sul fronte della sostenibilità, sia del senso del proprio lavoro. E, ancora, ci sono casi in cui la resilienza delle cooperative sociali – la capacità cioè di resistere ad una situazione economica avversa – ha come prezzo sforzi non sostenibili nel medio periodo per i dirigenti e i lavoratori, in termini di impegno profuso e di limitazione del proprio reddito.
Queste cooperative sono infatti messe a dura prova da un mercato sempre più competitivo e da enti locali alla ricerca di risparmi ad ogni costo e incapaci di cogliere come l’inserimento lavorativo rappresenti un interesse pubblico che i soggetti pubblici dovrebbero salvaguardare. Anche a causa di questa insensibilità, rischiano di trovarsi di fronte ad un bivio tra soccombere alla concorrenza o accettare mediazioni sempre più forti rispetto alla qualità degli inserimenti lavorativi, indirizzandosi quindi a “svantaggiati poco svantaggiati” e tralasciando valenza formativa e di integrazione sociale: riducendo cioè al minimo aspetti diversi dal mero svolgimento di una prestazione lavorativa. Come sarebbe possibile, d’altra parte, svolgere in modo sistematico e stabile due lavori – quello di mercato e quello sociale – quando solo il primo è remunerato?
Chi lavora nelle cooperative di inserimento lavorativo avverte con disagio queste contraddizioni: ha scelto, magari da molti anni, di lavorare per favorire l’integrazione di lavoratori svantaggiati e si ritrova a impegnare ogni energia in competizioni al ribasso e in una compressione dei costi indispensabile per non chiudere la propria impresa, ma che porta al deperimento della qualità dell’inserimento. E questo non è compatibile con la voglia di senso, di sentirsi fedeli alla mission per cui si è iniziato a lavorare in una cooperativa sociale di inserimento lavorativo e per la quale si sono acquisite competenze e strumenti professionali.
Ci si ritrova, non senza disorientamento, a svolgere in modo frenetico le attività di impresa senza avere tempo e modo di curare gli aspetti fondamentali per cui si è scelto di lavorare in cooperativa sociale.
Certo sono auspicabili i processi di emulazione e diffusione delle esperienze eccellenti, ma è ottimistico pensare che esse – spesso frutto di situazioni, capacità e circostanze non comuni – siano generalizzabili; e comunque questo non ci esime dall’interrogarci sui percorsi che rilancino il senso dell’inserimento lavorativo nel suo complesso.
Qual è il problema
Le problematicità sopra richiamate hanno origine in molti fattori:
- la ricerca esasperata del risparmio da parte delle pubbliche amministrazioni e la chiusura di una stagione in cui i convenzionamenti con la cooperazione sociale erano stati un asse portante delle politiche di integrazione delle persone fragili;
- la poca consapevolezza di una parte del mondo cooperativo, pronto a rincorrere ogni opportunità imprenditoriale senza interrogarsi sulla coerenza con la propria mission;
- la penetrazione della cultura aziendalistica centrata unicamente su criteri di efficienza e crescita;
- una visione generale della cooperazione deteriorata dagli scandali e dal modo in cui il mondo della comunicazione li ha raccontati.
Quali che ne siano le cause, assistiamo ad un paradosso: da una parte la Riforma del Terzo settore riconosce l’interesse generale dell’inserimento lavorativo e un ruolo per gli enti di Terzo settore analogo a quello delle pubbliche amministrazioni nel realizzare l’interesse pubblico e l’Europa stessa fa proprio il modello della cooperazione sociale italiana, come ben risulta dalla disciplina delle concessioni e degli appalti riservati recepita anche nel d.lgs. 50/2016; dall’altra spesso pare venuta meno la consapevolezza che le cooperative sociali di inserimento lavorativo incarnino un interesse generale, “pubblico” nel senso più autentico e anzi, talvolta la loro azione viene considerata come uno dei tanti interessi di impresa o, peggio, viene fatta oggetto di sospetti ingenerosi.
Ma di fronte a tutto ciò non bastano le difese di ufficio: bisogna essere capaci di leggere i bisogni della società che cambia, aggiornare e rivedere il nostro ruolo: di qui si parte per un rilancio della cooperazione di inserimento lavorativo.
Con questo documento vogliamo lanciare una riflessione destinata ad arricchirsi nei prossimi mesi, per farsi proposta culturale e politica.
Ecco quindi, in coerenza con questi ragionamenti, tre proposte.
- Investire in comunità, essere e fare territorio. Rispetto all’interno, le cooperative devono essere consapevoli che investire nei rapporti con la propria comunità di riferimento è strategico e irrinunciabile quanto investire in beni strumentali per la propria attività. Ciascuno può farlo in modo diverso, seguendo le proprie vocazioni: promuovendo ad esempio percorsi culturali di consapevolezza rispetto all’integrazione e alla fragilità o mettendo a disposizione la propria organizzazione per iniziative volte ad affrontare i maggiori problemi sociali con i quali siamo chiamati a confrontarci come la povertà, le migrazioni, la casa, ecc. Oggi una cooperativa non può svolgere un’attività produttiva senza investire in relazione con la comunità: il legame con la comunità e i cittadini è necessario per rifondare la propria legittimazione culturale e la credibilità dell’esperienza della cooperazione B. Una diversa immagine delle cooperative sociali è strategica anche per rilanciare gli strumenti consolidati come il convenzionamento con gli enti locali che non sia basato su logiche di spartizione tra soggetti del mondo produttivo definita per via politica, ma esito di una rinnovata presenza delle nostre cooperative nella comunità locale.
- La cooperazione sociale che integra la funzione formativa. L’inserimento lavorativo non è solo dare occupazione, ma deve originare esiti apprezzabili dal punto di vista delle capacità professionali e dell’integrazione sociale. Ciò grazie ad un modello peculiare, in cui la formazione non è antecedente al lavoro ma lo affianca; ma questa funzione, oltre a essere resa in modo professionale, deve anche essere adeguatamente retribuita, sul modello di quanto avviene in altri paesi europei e in alcuni contesti regionali anche nel nostro Paese. Si tratta di definire un modello che integra formazione, lavoro e impresa e in cui all’attività formativa sono dedicati tempi, spazi e personale definiti. Le competenze acquisite dalle persone inserite attraverso questi percorsi devono essere oggetto di una certificazione da parte di un soggetto terzo – il sistema scolastico o un’agenzia formativa – sia a garanzia della serietà del lavoro svolto sia perché le persone possano comunque vedere riconosciuti i progressi fatti. Ciò implica che le cooperative sociali dovranno sviluppare una relazione di collaborazione stabile con questi soggetti. Questa è la prima direttrice di sviluppo.
- Cooperazione sociale e lavori utili di comunità. La seconda direttrice è basata sulla capacità della cooperativa sociale di integrare entro un contesto produttivo lavoratori con debolezze e fragilità. Oggi la nostra società ha un bisogno sempre maggiore di questa funzione. Ormai tutte le misure pubbliche di aiuto alle persone, dal contrasto alla povertà ai nuovi ammortizzatori sociali, richiedono al destinatario di impegnarsi in un percorso che comprende anche attività a servizio della comunità. Questo percorso assume una pluralità di valenze: rafforzamento delle reti di relazione, coesione della comunità intorno ai beneficiari, restituzione, valorizzazione delle capacità residue, e soprattutto, la possibilità di dare un senso alla quotidianità delle persone.
Anche la questione dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale potrebbe cambiare immagine pubblica se collegata a questi strumenti, così come la situazione dei tantissimi giovani che non studiano e non lavorano potrebbe in alcuni casi essere affrontata con periodi di servizio alla comunità, come ben testimoniato dalle esperienze di servizio civile nazionale.
Ci sono, in altre parole, milioni di persone per le quali si avverte l’urgenza di attivare un impegno a vantaggio della comunità ma i cui percorsi, in assenza di una chiara strategia organizzativa, rimarranno solo sulla carta. E ci sono interventi che non tolgono lavoro regolare perché non sarebbero comunque sostenibili, ma che sono utili per il nostro Paese e per la qualità della vita dei suoi cittadini. Queste attività potrebbero essere realizzate con il coinvolgimento della comunità locale e di imprese con adeguate competenze tecniche e una salda vocazione sociale, che organizzerebbero l’opera non solo dei propri lavoratori, ma anche delle persone che prestano servizio alla propria comunità nell’ambito dei percorsi sopra descritti. Se tutto ciò venisse gestito al di fuori di logiche di impresa, si rischierebbe di riprodurre esperienze deleterie, in cui le persone inserite appaiono come “parcheggiate” in compiti improduttivi. La cooperazione sociale può trovare in questo una seconda direttrice di sviluppo.
Mai più soli, un’impresa sociale a sistema: verso una nuova generazione di cooperative di inserimento lavorativo.
Chi sarà in grado di raccogliere il senso di queste proposte? Lo diranno i fatti, anche se sicuramente le cooperative di inserimento lavorativo, per storia e vocazione, si candidano ad essere tra i soggetti che meglio di altri sapranno interpretarle.
Probabilmente si tratterà di cooperative di inserimento lavorativo di nuova generazione, che affiancheranno un’attività economica prevalente di produzione di beni e servizi con una quota minoritaria, ma non residuale, di risorse derivanti dal lavorare sulle proposte precedenti, perché a fronte delle azioni formative e di integrazione sopra descritte – che non devono essere occasionali ed episodiche, ma attestabili in sede di carta dei servizi e oggetto di riconoscimento o di accreditamento – deve avere luogo un’adeguata corresponsione di risorse pubbliche. Tutto questo non inficia comunque la natura di impresa, che rimane la vocazione prevalente e il tratto distintivo della cooperativa di inserimento lavorativo, nonché il canale dal quale continua a pervenire la maggioranza delle risorse economiche; semmai va a riconoscere e remunerare funzioni di fatto spesso già svolte ma realizzate, in assenza di risorse, in modo approssimativo e non continuativo.
Gli sviluppi qui proposti danno inoltre evidenza all’impegno, già oggi esistente ma non riconosciuto della cooperazione sociale di inserimento lavorativo a favore anche di persone non ricomprese nell’art. 4 della legge 381/1991, seppure caratterizzate da svantaggio sociale e esclusione lavorativa.
Ancora, la cooperazione sociale di inserimento lavorativo che si va così a ridisegnare è un’impresa di relazione: con la comunità cui appartiene, con le istituzioni e con soggetti in grado di mettere in campo competenze diverse, da quelle tecniche e quelle formative, a quelle imprenditoriali.
Non è un’impresa che compete isolata, ma un’impresa che crea legami e si sviluppa all’interno di un sistema collaborativo di soggetti che hanno a cuore uno sviluppo sostenibile e solidale della propria comunità.
1 settembre 2018